Principali malattie del cavallo

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kagome35
view post Posted on 21/3/2010, 17:05




Morva.
E' una grave malattia infettiva trasmissibile anche all'uomo e più facile a riscontrarsi negli animali denutriti: si appalesa con macchie biancastre ulcerose sulla mucosa del setto nasale, dalla fuoriuscita da esso di un secreto vischioso e dall'ingrossamento delle ghiandole sottomascellari. Questa malattia viene pure detta farcino perché a volte compaiono sotto la cute dei moduletti o dei cordoni linfatici che degenerano poi in piaghe.
Nei casi dubbi si ricorre alla malleinizzazione che permette una diagnosi sicura.
L'animale colpito va subito isolato e la scuderia disinfettata, si dovrà inoltre escludere l'abbeverata collettiva in vasca.
Non si conoscono mezzi di cura ma soltanto di prevenzione mediante vaccini specifici.


Tetano.
É una gravissima malattia infettiva, non contagiosa, causata dalla penetrazione attraverso una ferita del «bacillo di Nicolaier». Un chiodo arrugginito, un scheggia di legno o di vetro che per una qualsiasi causa ledano i tessuti, provocano l'infezione in quanto il suddetto microbio è ovunque diffuso e in particolare nella polvere della strada, sulle ragnatele e persino nelle vie digerenti del cavallo, senza però che questi ne risenti danno, ben inteso qualora la mucosa intestinale sia integra, ma nel caso esistessero abrasioni il germe può penetrare nel circolo sanguigno determinando il tetano criptogenetico.
La malattia, la cui incubazione dura da 4 a 14 giorni, è caratterizzata da violente contrazioni muscolari e soprattutto facciali (trisma) producenti strani aspetti ed insolite posizioni del paziente: gli accessi insorgono alle volte spontaneamente ed altre in seguito a fatti insignificanti (rumori improvvisi, viva luce, inattese palpazioni ecc.): la febbre è sempre molto alta (42 °C), pure frequenti i battiti cardiaci.
Se la cura non interviene tempestivamente, dopo 2-3 giorni di atroci dolori, sopraggiunge la morte per paralisi respiratoria.
Un sospetto della presenza della malattia può alle volte insorgere qualora si ricordi che l'animale nel passato abbia subito delle ferite, anche lievissime, ma non subito disinfettate, od anche quando presenti una insolita andatura con rigidità dei movimenti.
Quale adatto intervento non c'è che l'uso di sieri antitetanici: se l'infezione avesse a verificarsi nella coda conviene senz'altro amputarla. Nell'attesa del veterinario sarà bene premere la ferita per farne uscire un po' di sangue e quindi cauterizzarla con un ferro rovente.


Farcino criptococcico.
É pur esso infettivo però anche contagioso così da richiedere l'immediato isolamento del colpito.
Gli organi interessati riguardano specialmente gli arti, alcune zone del tronco, il collo, la testa che abbiano subita una ferita ulcerativa e trascurata con conseguente infiammazione purulenta del sistema linfatico locale. Il periodo di incubazione alle volte è breve ma più spesso assai lungo: il decorso è solitamente benigno qualora si intervenga tempestivamente per via chirurgica.


Adenite.
É un morbo infettivo tipico dei puledri, molto meno degli adulti: è caratterizzato dalla tumefazione delle ghiandole sottomascellari, dapprima dura o poi molle per la formazione di pus; l'ingrossamento provoca difficoltà nella respirazione (tanto da rendersi alle volte necessaria la tracheotomia) e deglutizione, donde il nome volgare di «stranguglioni» con cui la malattia è pure nota.
Altri sintomi sono febbre alta, grave prostrazione, scolo nasale e congiuntivale, in principio sieroso e poi muco-purulento. Il decorso varia da 15 a 30 giorni. L'animale va subito isolato e la scuderia disinfettata. Tra gli alimenti si eviterà il foraggio, l'avena, i panelli ed altri mangimi richiedenti masticazione, sostituendoli con beveroni.
L'intervento curativo consiste nella inoculazione di un siero specifico, in frizioni con una pomata risolvente sotto le mascelle od in applicazioni di cataplasmi di farina di lino nonché l'uso di sulfamidici ed antibiotici.


Oftalmie periodica o mal della luna.
É caratterizzata da arrossamento della congiuntiva, abbondante lacrimazione e comparsa di macchie biancastre ed aderenze (sinechie) che rendono opaca la membrana cornea. Si manifesta con intervalli da 2 a 15 giorni e, di preferenza, in soggetti allevati in località umide, in scuderie mal tenute od anche quale postumo della broncopolmonite. L'eziologia è ignota: si ammette una natura leptospirosica oppure un eccesso di istamina nel sangue. Non di rado da luogo alla cataratta (opacamente del cristallino) ed alla cecità. Scientificamente viene denominata iridociclocoroidite recidivante.
Soltanto il tempestivo intervento del veterinario può evitare le suddette gravi conseguenze. Durante gli accessi del male si applicheranno sugli occhi degli impacchi tiepidi di infuso di camomilla od una soluzione di acido borico al 3% o vi si insufflerà del calomelano: con una fasciatura sulla faccia si terrà il paziente al riparo dalla luce e dell'aria.
La malattia è ereditaria, incurabile e compresa tra quelle d'azione redibitoria.


Coliche.
Possono avere diversa origine: da forti indigestioni, dalla bevanda troppo fredda, da foraggi contenenti piante venefiche, dalla presenza di calcoli, tumori, vermi od altri parassiti nel tubo digerente, o dall'arresto in esso di feci o corpi estranei.
La diagnosi può essere agevolata dal fatto che l'animale attanagliato da atroci dolori geme, trema, suda, raspa il terreno, si getta per terra dibattendosi ed assumendo le più strane posizioni, dette «patognonomiche», quali quella assisa, il decubito dorsale ecc. mentre la faccia presenta spasmodiche contrazioni («cavallo che ride»).
Occorre provvedere subito per l'intervento del veterinario in quanto la morte può sopravvenire in poche ore.
Nel frattempo si allontanerà ogni sorta di cibo dalla mangiatoia, si praticherà un clistere preparatorio di acqua saponosa ed olio d'oliva, seguito da un secondo di circa 3 litri d'acqua contenente g 30 ÷ 40 di cloralio: oppure si somministrerà per bocca un infuso di camomilla (40 g in un litro d'acqua) con 15 g di laudano. Si faranno inoltre frizioni sull'addome di alcole canforato e sugli arti di aceto caldo; si proteggerà l'animale con una coperta e lo si obbligherà a passeggiare.
Per formarsi un'idea della maggiore o minore gravità del male i pratici esercitano con una mano una forte pressione sulla regione renale: se il paziente flette la parte, il responso è benigno, mentre se non reagisce c'è ben poca speranza di salvarlo; è comunque una diagnosi a buon mercato.


Rogna o scabbia.
È prodotta da piccoli parassiti (da 0,2 a 0,8 mm) della famiglia degli Acari, dal corpo ovale provvisto di appendici setolose e di un apparato boccale foggiato per pungere e succhiare. Le femmine sono straordinariamente prolifiche, il che spiega la facilità con cui la malattia si diffonde, agevolata dal fatto che i suddetti parassiti presentano una grande resistenza alle avversità ambientali. Di essi se ne conoscono diversi generi («Sarcoptes», «Psoroptes», «Demodex») e ciascuno preferisce determinate zone del corpo: alcune scavano sotto la pelle dei cunicoli e producono dei noduletti sierosi che in seguito danno luogo a croste; altre si annidano nei follicoli dei peli determinandone la caduta: per lo più cagionano viva irritazione ed intenso prurito che spinge l'animale a grattarsi estendendo così il male: appaiono allora numerose piaghe con conseguente alterazione del ricambio, anemia ed esaurimento.
La rogna sarcoptica è quella tipica: appare sulla testa, collo, garrese; la demodettica inizia il suo decorso dal ciuffo, dalla criniera e dalla base delle coda, per estendersi alle regioni confinanti sino alle cosce, producendo vescichette e pustolette; la simbiotica si localizza nella parte inferiore degli arti che si ricoprono di un liquido sieroso.
L'infestione dei parassiti avviene per contatto diretto od anche indiretto mediante bardature, coperte, mangiatoie ecc., ed è agevolato dalla scarsa pulizia dell'ambiente e dell'animale.
Per l'esatta individualizzazione della specie degli acari bisogna prelevare ed esaminare attentamente al microscopio un po' del materiale patologico.
Per la cura occorre radere i peli tutt'attorno alle zone colpite, lavarle con acqua tiepida e sapone potassico onde rammollire le croste in modo da poterle allontanare il giorno successivo con una spazzola; ciò fatto si asciuga la parte e la si spalma di pomata solfocalcica o quella di Helmerich o la si unge con una miscela di petrolio e olio. Se gli animali fossero parecchi si può anche farli entrare, uno alla volta, in una cameretta, da una piccola finestra della quale si lascia uscire soltanto la testa: nel locale si fanno poi giungere dei fumi di anidride solforosa, ripetendo la manualità per un paio di volte o più a seconda della gravità del male.
Un altro mezzo è il seguente: si strofinano le parti colpite con una spazzola imbevuta di una soluzione al 20% di iposolfito sodico, ed una volta bene asciutte, si ripete il trattamento con una soluzione di acido cloridrico al 4%; dalla reazione dei due composti chimici si genera del gas solforoso, particolarmente deleterio per la vita dei macroparassiti. Oggi esistono in commercio appositi preparati, anche spray, a base di esteri fosforici.
Nel contempo si prenderanno le consuete precauzioni intese ad evitare una maggior diffusione della malattia, isolando i primi colpiti e disinfestando la scuderia, finimenti e quanto altro avesse servito a detti animali, con kg 2 di estratto normale di tabacco ed 1 kg di sapone potassico, sciolti in 100 litri di acqua: oppure una soluzione al 5% di esacloroesano.


Erpete o tigna
Appartiene alle dermatomicosi, ossia alle alterazioni della pelle causate dalla presenza di particolari muffe di colore grigio-biancastro: è comune a molti altri animali. Se ne conoscono due forme principali: la tigna tonsurante, prodotta dal fungillo del gen. Tricophyton, e quella favosa, causata dal gen. Achorion; quest'ultima è assai più resistente e, come quella, contagiosa anche per le persone così che chi ha in cura degli animali dovrà prendere le necessarie precauzioni.
Il microparassita suole insediarsi sotto il pelame e di preferenza nelle regioni della testa, collo, spalle, fianchi, originando delle placche rotonde od ovali che dapprima isolate finiscono a poco a poco con l'ingrandire e confluire: i peli resi opachi e fragili si staccano facilmente lasciando altrettante zone denudate emananti un liquido vischioso di sgradevole odore, oppure si rivestono di caratteristiche croste che si presentano, nella seconda forma incavate, così da giustificare il nome di «favo». Il prurito è lieve. Sono cause predisponenti la scarsa pulizia della pelle, del ricovero e degli arredi spesso veicoli di contagio, oltre ben inteso al contatto diretto.
La guarigione, se si interviene tempestivamente è quasi sempre rapida e sicura: all'uopo prima si cerca di allontanare le croste spalmandole di grasso o di vaselina, quindi si pennellano le zone con una miscela in parti uguali di glicerina e tintura di jodio, oppure vi si applica una pomata all'acido salicilico (al 10%) od alla creolina.
Superfluo aggiungere la necessità dell'immediato isolamento dei soggetti colpiti, della disinfezione del locale ed arredi nonché la distruzione col fuoco dei residui della medicazione.


Ematuria dei puledri
È volgarmente detta "pisciasangue" perché caratterizzata dalla comparsa del sangue nell'urina pervenutovi attraverso i reni in quanto spesso conseguenza di nefriti o di altri morbi infettivi. Si manifesta di solito due, tre giorni dopo la nascita dei redi che d'un subito perdono la loro naturale vivacità, l'orina si arrossa ed intorbida; le mucose degli occhi e della bocca ingialliscono.
I battiti del cuore si fanno frequenti e la temperatura cala; se i colpiti resistono sino al quarto giorno c'è speranza di guarigione. È ormai certo che la malattia è dovuta alla inoculazione, nella giumenta madre, di una specie di «piroplasma» che verrebbe poi trasmesso ai feti, particolarmente sensibili ad esso.
Il decorso della malattia è spesso assai lungo: nell'attesa del veterinario si applichino nella regione lombare delle compresse di acqua fredda mediante un lenzuolo più volte piegato e ben spremuto, sovrapponendovi poi una coperta di lana e ripetendo la manualità più volte.


Diarrea
Nei soggetti adulti può essere prodotta dalla ingestione di alimenti troppo acquosi od alterati, oppure essere sintomo di un morbo infettivo, mentre nei puledri può anche insorgere per non aver potuto tettare il colostro, causa un ostico pregiudizio di ignoranti stallieri, oppure per una infezione attraverso il cordone ombelicale, a suo tempo non curato a dovere.
L'intervento consiste nell'applicare senapismi al ventre, nel frizionare gli arti e nel somministrare per bocca, due volte al giorno, e disciolta nell'acqua di riso, la seguente medicina: salicilato di bismuto g 5, benzonaftolo g 1, oppio g 0,25, oppure sulfamidici guamidinici.
Qualora la diarrea fosse soltanto dovuta al freddo, si facciano bollire 30 g di corteccia di quercia in un litro di acqua e se ne dia un paio di cucchiai due volte al giorno.


Corneggio
È dovuto a parziale paralisi dei nervi laringei, e più precisamente del «ricorrente di sinistra», di guisa che l'aria nella inspirazione e, nei casi gravi, anche nell'espirazione, produce un sibilo o un rantolo caratteristico, e tanto più percepibile se si mette l'animale al trotto («cavallo fischiatore»). Vi sono razze più recettive di altre. Il malanno può essere ereditario oppure postumo di qualche malattia infettiva (pleuropolmonite, bronchite, adenite, ecc.), o conseguenza della ingestione di sostanze tossiche, od anche di fatti traumatici: alle volte è accompagnato da tosse; è compreso tra quelli redibitori, e se non curato subito col tempo diviene cronico: l'intervento può essere clinico, mediante la somministrazione di preparati jodici od arsenicali, per via orale o parenterale, oppure chirurgico, però di non facile attuazione.

Bolsaggine
È causata dallo sfiancamento degli alveoli polmonari e si appalesa col cosiddetto «contraccolpo»; la cura, sia clinica che chirurgica, specialmente quando il male è cronico, è di esito dubbio. Si osserva nei soggetti sottoposti a notevole sforzo come si verifica per quelli da tiro o da caccia. Le cause possono essere traumi, avvelenamento o pregresse infezioni, dovute al fatto che la inspirazione si verifica in due tempi. La malattia è di solito accompagnata da tosse debole e secca, a decorso lungo e di azione redibitoria: l'animale può però egualmente essere utilizzato purchè si abbia l'avvertenza di sottoporlo a cure e ricostituenti, di cibarlo con foraggi verdi e beveroni, escludendo in via assoluta il fieno polveroso, imbrattato, ammuffito.

Le bronchiti e le polmoniti, quasi sempre conseguenze del freddo e dell'umido, possono avere anche esito letale se si ritarda a far ricorso all'opera del veterinario, in attesa del quale si praticheranno delle frizioni sul torace con una embrocazione o vi si applicheranno dei cataplasmi senapati.

La glossite e la stomatite, ossia la infiammazione della lingua o della bocca, si curano con ripetuti lavaggi di acqua ossigenata o perborato di sodio all'1% o glicerina iodata od aceto. La stomatite in particolare può presentarsi sotto il vario aspetto di «vescicolare», «aftosa», ecc.: tutto il palato si presenta arrossato e così infiammato da rendere penosa la masticazione: alle volte si riscontrano complicazioni con la comparsa di pseudomembrane, pustole, ingorghi ghiandolari, febbre, ecc. Si tengano i soggetti a dieta, sostituendo il consueto foraggio con beveroni di latte, crusca, farinette.

Il mal della talpa e quello del garrese sono delle lesioni suppurative necrotiche che si formano, il primo alla nuca ed il secondo all'inizio del dorso, a cagione dei finimenti logori o disadatti perché producenti un continuo sfregamento, oppure dalla presenza di batteri: si origina così una ferita che poi infettata produce pus. Il malanno è favorito dalla scarsa pulizia e dal miserevole stato dell'animale. Si eliminino innanzitutto le cause e si provveda poi ad un lavacro con sapone alla creolina in attesa che il veterinario intervenga chirurgicamente. La guarigione è sovente assai lunga richiedendo anche dei mesi.

L'inchiodatura è conseguente all'avere il maniscalco conficcati male i chiodi dei ferri: occorre toglierli, disinfettare e, nel caso che la regione si presentasse gonfia, applicarvi degli impacchi di acqua vegeto-minerale. Contro i cosiddetti chiodi di strada, si allontani prima il corpo estraneo - che può essere anche una scheggia di ferro, di vetro o di legno - si pulisca la parte dall'eventuale sudiciume, e si disinfetti con alcole o con unguento egiziano o con un batuffolo di cotone imbevuto di catrame, fermandolo in posto con una fasciatura. Contro le flaccature giovano le applicazioni di creta impastata con aceto.

Le contusioni, caratterizzate da tumefazioni di tessuti molli, in conseguenza di urti, colpi ecc. si curano come le precedenti o con impacchi di acqua fredda addizionata di sostanze astringenti.

Contro l'oftalmite semplice, che è l'infiammazione del globo oculare prodotta da frustate o dalla penetrazione di un corpo estraneo (ed in tal caso dopo di aver rovesciata la palpebra si cercherà di asportarlo), giovano i bagnuoli, fatti con una spugna imbevuta di infuso di camomilla, da ripetersi due, tre volte al giorno e, qualora esistesse una forte lacrimazione, unendovi g 6, per litro, di solfato di zinco.

Le piaghe estive sono delle ulcerazioni granulose e pruriginose che si riscontrano, all'inizio della calda stagione, specialmente sul dorso e sugli arti, per cicatrizzarsi a poco a poco col sopravvenire del freddo. Sono dovute alle larve di un vermiciattolo filiforme e biancastro (Filaria irritans) diffuso dalle mosche sulle screpolature della pelle. Il male si rinnova ogni anno. L'unico intervento efficace è quello chirurgico.

Si chiamano guidaleschi le lesioni che compaiono sul collo, garrese , dorso e fianchi in conseguenza della pressione e dello sfregamento delle bardature, tanto più se corrose o troppo strette. Il punto offeso, per l'arresto della circolazione sanguigna, si copre di un disco quasi corneo che successivamente cade mettendo a nudo una piaga. Occorre tenere l'animale a riposo finché la ferita, dopo esser stata disinfettata e cosparsa di polvere astringente, si cicatrizzi. Nel contempo, si elimini la causa, riparando i finimenti.

Le ragadi o crepacce sono delle screpolature lineari più o meno profonde della pelle che si osservano di preferenza sulla parte posteriore ed inferiore degli arti in seguito a maldestre applicazioni di vescicanti. Si curano con impacchi tiepidi di soluzioni disinfettanti o con adatte pomate antisettiche e cicatrizzanti.

Le formelle od esostosi falangee compaiono specialmente in corrispondenza delle articolazioni del nodello degli arti posteriori: si curano con impacchi caldo-umidi o con pomata biodurata ed addizionata di trementina o di cantaride: desiderando un rimedio più rapido ed energico si ricorre alla cauterizzazione.

Contro le ferite aperte, di limitata ampiezza così da non richiedere la sutura, dopo di averle deterse dalle materie estranee, si disinfettano e si cospargono di una polvere cicatrizzante (xeroformio, dermatolo, carbone fenicato, ecc.). Per quelle dei piedi è particolarmente raccomandabile la «pasta Socin» costituita da ossido di zinco g 45 e cloruro di zinco g 0,5 e lanolina q.b. Se vi fosse tendenza alla suppurazione si adotta la pomata alla penicillina.

Il prurito cutaneo può essere dovuto a cause diverse: presenza di vermi, di estri od altri parassiti: allergia per determinati alimenti (mais o veccia): alterazioni funzionali dell'intestino, fegato, reni; exema caudale ecc.
L'animale ossessionato dalla continua prurigine cerca, per quanto gli è possibile, di leccarsi, grattarsi ed anche mordersi. Per intervenire in modo adeguato bisogna ricercare la causa: si lenisca comunque la insofferenza con impacchi di acqua fredda o di crusca o con anestetici.


Gli ingromi, le borsiti ed altre tumefazioni siero-fibrose delle regioni declivi degli arti, sono di solito la conseguenza di sforzi prolungati o di fatti traumatici, e siccome il più delle volte non ostacolano il normale lavoro dell'animale, sia da tiro che da sella, risultano anche indolori, ne consegue che il proprietario non se ne occupa granché e concorrendo così ad aggravare e cronicizzate il male. L'intervento consiste in impacchi caldi e ripetuti massaggi con pomate jodo-jodurate o mercuriali e, nei casi ribelli, con focature.

Contro le setole che sono delle screpolature degli zoccoli, giova l'applicazione del seguente mastice: colofonia parti 25, cera gialla p.6, terra d'ombra p. 12, fatte fondere a fuoco lento ed in ultimo aggiungendo, e sempre mescolando, p. 6 di nero d'avorio.

Le distorsioni sono una conseguenza di sdrucciolamenti, di passi falsi, salti ecc. Si curano con impacchi freddi di acqua vegeto-minerale, per eliminare il processo infiammatorio e, se nei giorni successivi persistesse il gonfiore, si faranno frizioni con una embrocazione o si applicherà un vescicante.

L'incoronamento dei ginocchi, dovuto a cadute, può presentarsi o no con la pelle lacerata: nel primo caso si applica un po' di unguento egiziaco ed jodoformio al 10% e si fascia; nel secondo caso bastano degli impacchi di acqua vegeto-minerale.

Alla incapestratura, che è una escoriazione dell'osso pastorale, prodotta dalla corda della cavezza, si rimedia disinfettando la ferita e spalmandola poi di vaselina borica.

Contro i vesciconi, che sono degli ingorghi sinoviali tipici delle articolazioni dei garretti, e prodotti da eccessivo sforzo, si rimedia con impacchi freddi, pennellature di tintura di jodio o con la cauterizzazione. Consigliabile l'uso delle fasce di lana.

Le zoppicature non sono facili a diagnosticare se non da una persona dell'arte, potendo essere diversa la causa e la sede del male.
Per riconoscere in quale arto risiede il malanno occorre tener presente che l'animale, da fermo, tiene in riposo l'arto dolorante, mentre se si mette in moto, dà il cosiddetto «colpo di testa» se la zoppia è nel bipede anteriore, ed il «colpo d'anca» se in quello posteriore: e cioè il cavallo cerca sempre di spostare il centro di gravità del corpo in modo da alleviare la estremità claudicante. Inoltre, qualunque sia la sede e l'arto ammalato, si riscontra una minore distensione del relativo nodello, agendo esso al pari di un cuscinetto.
Variando la causa del male diversa sarà pure la cura. Qualora si trattasse di una inchiodatura si veda quanto già esposto in precedenza.


La ninfomania, che è un anormale sfrenato stimolo sessuale, va subito curata perché le cavalle finiscono col divenire irascibili ed anche pericolose. Giovano all'uopo i ripetuti blandi purganti, in regime rinfrescante con esclusione dell'avena e, se non si raggiungesse lo scopo, la somministrazione, per una settimana, di una pillola al giorno di g 6 di bromuro di canfora od altro tranquillante. Qualora il male fosse dovuto a cisti ovariche od a turbe neuro ormoniche è necessario un intervento chirurgico.

Gli estri sono degli insettucci rossastri punteggiati di nero, lunghi 15 mm le cui femmine, sempre più numerose dei maschi nelle ore più soleggiate estive, depositano, tra i peli dei cavalli pascolanti, le loro uova attaccandovele con saliva gommosa; i cavalli, all'avvicinarsi dei parassiti, prevedendone le tristi conseguenze, vengono presi da viva agitazione e cercano di difendersi come possono con bruschi movimenti della testa, della coda, degli arti ed anche con una precipitosa fuga, ma sempre col risultato vano. Dalle uova, dopo 4-5 giorni, nascono delle larvettine di colore rossastro, lunghe 2 cm, che peregrinando sulla pelle dell'animale danno luogo ad un fastidioso prurito a cui la vittima non trova di meglio che leccarsi ripetutamente: in tal modo deglutite vanno a fissarsi, con gli uncini di cui sono provviste, sulla mucosa stomacale ed alle volte anche in numero di parecchie centinaia, cagionando ora delle coliche ed ora, al momento della espulsione, dopo una diecina di mesi, raccogliersi attorno all'apertura anale provocandovi vivissima irritazione ed accentuata infiammazione. Dopo un paio di giorni, cadendo sul terreno, vi si infossano e si incrisalidano e dopo un mese si trasformano in insetti perfetti per ricominciano il ciclo suddetto.
Per la cura occorre somministrare, a due ore di intervallo, 2 capsule di solfuro di carbonio ed il giorno successivo una purga. La prevenzione si attua non lasciando al pascolo, o non facendo lavorare, gli animali nelle ore più soleggiate e sottoponendoli, prima che rientrino nel ricovero, ad un accurato governo della mano: uova di larve, cadute per terra verranno raccolte su di un giornale ivi disteso e quindi schiacciate o bruciate.


Delle mosche e del modo di combatterle se ne è già a lungo parlato nella Parte generale:sarà però opportuno ricordare come alcune specie siano assai temibili perché essendo ematofaghe possono divenire trasmettitrici di pericolose malattie inoculando batteri provenienti da altri animali ammalati, o ad escrementi, o da materie in putrefazione in genere; altre volte sono la causa delle tipiche forme di miasi intestinali e delle piaghe estive.
Fra le specie più comuni sono la mosca cavallina (ippobosca), la bovina e la ovina, tenaci nel seguire ed assalire il bestiame.
Circa la difesa indiretta se ne è già parlato e per quella diretta giovano periodiche frizioni delle zone preferite dai parassiti con decotto di foglie di noce, o di irrorazioni di esacloroesano al 5%, oppure con altri insetticidi in polvere, o con applicazione di moschiere agli animali durante il lavoro.


La ftiriasi, dovuta alla ingestione di pidocchi, si riscontra negli animali denutriti, trascurati al riguardo del governo della mano e tenuti in scuderie sporche.
Questi parassiti, nutrendosi di sangue a spese di chi li ospita, cagionano una viva irrequietezza, un graduale dimagramento ed, in alcuni casi, anche escoriazioni e trasmissione di batteri patogeni. Occorre quindi stare in guardia e combatterli senza tregua: all'uopo, dopo avere tosato l'animale, ed abbruciati i peli asportati, si fanno prima dei lavaggi con acqua ed aceto, per provocare il distacco delle uova, o lendini, indi si strofina il corpo con una spazzola imbevuta di una soluzione di creosoto o di creolina (al 5%), o di decotto di lupini, o di petrolio, o di legno quassio (g 125 in 10 litri di acqua) oppure praticando lavaggi con acqua tiepida e sapone alla nicotina.


Contro le zecche si usano polverizzazioni di gammesano o spugnature di una soluzione insetticida.


(la fonte: www.sardegnacavalli.it/Veterina/malattie.htm )
 
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giuliamontani
view post Posted on 6/3/2013, 18:04




:cavallo1: grazie mi è servito molto
 
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1 replies since 21/3/2010, 17:03   8882 views
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